La Cassazione, con Sentenza n. 1517 del 25 gennaio 2021, si pronuncia sulla prassi utilizzata dalle banche per rifinanziare lo scoperto di conto delle imprese, qualificando fittiziamente l’operazione come mutuo ipotecario.
La Suprema Corte chiarisce, infatti, che “L’operazione di ripianamento di debito a mezzo di nuovo credito, che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente , non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell’obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus“.
Infatti, la fattispecie rubricata come contratto di mutuo impone che vi sia una effettiva consegna di somme dalla banca al richiedente. Senza questo effettivo trasferimento si tratta di una mera operazione contabile che avviene in seno alla Banca, senza che il cliente abbia la disponibilità delle somme.
“La mera enunciazione, nel testo contrattuale, che il mutuatario utilizzerà la somma erogatagli per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è per sé idonea a integrare gli estremi del mutuo di scopo convenzionale, per il cui inveramento occorre, di contro, che lo svolgimento dell’attività dedotta o il risultato perseguito siano nel concreto rispondenti a uno specifico e diretto interesse anche proprio della persona del mutuante, che vincoli l’utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione“.
Per la Cassazione, questa operazione è qualificabile come “mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta“. Una semplice “modificazione accessoria dell’obbligazione” che quindi non comporta novazione.