Con una recente ordinanza emessa il 17 giugno 2020 il Tribunale di Milano ha compiuto un approfondito lavoro di riepilogo del panorama giuridico in merito alla pubblicazione di post denigratori sui social network Facebook ed Instagram.
Nelle motivazioni dell’ordinanza viene approfondito, tra gli altri, anche il tema delicato del bilanciamento tra tutela della reputazione (da un lato) e diritto di libera manifestazione del pensiero (dall’altro).
Consigliamo la lettura integrale del provvedimento (in calce) sia per la quantità degli argomenti trattati nelle motivazioni che per l’interesse di questi alla luce della pratica quotidiana.
Sono all’ordine del giorno, infatti, le diatribe “telematiche” inerenti post indesiderati o, addirittura, lesivi, sulle piattaforme social.
Vediamo di approfondirne i confini.
Il caso
La controversia nasce in un contesto coniugale. A seguito della separazione dei coniugi la moglie aveva postato online sui propri profili Intagram e Facebook materiale ritenuto denigratorio nei confronti del marito, reo (secondo quest’ultima) di aver sospeso la corresponsione dell’assegno di mantenimento.
Il marito aveva quindi subito, ad opera della moglie, “una campagna denigratoria violentissima, caratterizzata da un’aggressività sempre crescente su diversi social network (…) pubblicando post ed immagini dal contenuto gravemente diffamatorio dell’onore e della reputazione, personale e professionale” del marito.
La parte lesa aveva quindi adito il Tribunale di Milano chiedendo l’ordine di rimozione dei contenuti segnalati a livello mondiale ex art. 700 c.p.c. Il giudice di Milano aveva accolto il ricorso con conseguente ordine di rimozione nei confronti di Facebook Inc., Facebook Ireland LTD ed Instagram LLC.
Queste ultime avevano reclamato l’ordinanza in parola avanzando diverse eccezioni in termini di legittimazione passiva, difetto di giurisdizione e mancanza dei requisiti di legge per l’accoglimento del ricorso.
Valori social (i)
Tra le varie questioni affrontate dal giudice del reclamo vi è quella – molto interessante – del bilanciamento tra diritto alla reputazione (Art. 2 Cost) e diritto alla libera manifestazione del pensiero (Art. 21 Cost – Art. 10 C.E.D.U.).
Osserva il Collegio che a ciascun individuo è riconosciuto un diritto all’onore, al decoro ed alla reputazione, come insieme di valori sociali della persona collegati al concetto generale di “dignità”.
Questo diritto si pone spesso in conflitto con il diritto di libera manifestazione del proprio pensiero. Ciò non riguarda solo le informazioni e/o opinioni inoffensive ma anche quelle che possano avere una connotazione negativa “essendo ciò richiesto dal pluralismo, dallo tolleranza e dallo spirito di apertura senza i quali non si ha una società democratica” (cfr. C.E.D.U. caso 8/7/18/986 Lingens/Austria).
Pertanto l’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero è tutelato se rimane entro i confini dati da:
- verità (corrispondenza tra fatti accaduti e fatti narrati);
- pertinenza (sussistenza di un interesse ai fatti narrati da parte dell’opinione pubblica) Cfr. Cass. Civ. 23366/2004; Cass. Civ. 5259/1984;
- continenza (correttezza con cui i fatti vengono esposti), Cfr. Cass. Civ. 5259/1984.
Se questi tre requisiti, elaborati dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale, vengono rispettati, i contenuti pubblicati online non possono essere ritenuti illeciti e, quindi, non possono essere destinatari di un ordine di rimozione.
Nel caso di specie, i contenuti postati dalla moglie riguardanti il marito non sono stati giudicati leciti, perché esulavano tali limiti e, pertanto, ne è stata ordinata la rimozione, seppur limitatamente all’ambito UE.