L’ Amministrazione Finanziaria non può integrare nel corso del giudizio – in ragione delle contestazioni del contribuente estrinsecate nel ricorso – la motivazione del provvedimento impositivo.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la recente ordinanza n° 20784/2020, in forza della quale i Giudici di Vertice hanno così precisato: “[…] la cartella esattoriale, ove non preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile […]”.
Pertanto, prosegue la Suprema Corte, “la motivazione dell’atto tributario costituisce lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente. All’interno della motivazione, pertanto, devono essere indicati gli elementi che l’Ufficio ha posto a base della pretesa, non potendo l’amministrazione integrare le proprie ragioni in corso di giudizio“
Inoltre, gli stessi Giudici di Piazza Cavour hanno inoltre affermato in precedenza che la motivazione costituisce il “confine“ del processo tributario: l’Ufficio, infatti, non può integrare le ragioni nel corso del giudizio (c.d. “divieto di motivazione postuma”) ed il Giudice deve decidere solo sugli elementi desumibili dall’atto impugnato (Cass., n° 9810/14; Cass., n° 28655/18; Cass., n° 12296/2020).
Di conseguenza, la motivazione di una pretesa impositiva deve essere già autonomamente definita e ben circoscritta già nell’atto notificato al contribuente: è vietata qualsivoglia estensione/integrazione della motivazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria (Agenzia delle Entrate / Agenzia delle Entrate – Riscossione).
Per maggiori informazioni si veda la sentenza in formato .PDF.