La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Lucca, con la recente sentenza n° 109/23, ha accolto il ricorso presentato dalla contribuente, destinataria di un’intimazione di pagamento a fronte della quale l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ex Equitalia) richiedeva il pagamento di circa €. 100.000,00 per imposte del periodo 2007 e 2008.
Il presunto debito derivava dalla notifica di una precedente cartella esattoriale notificata nel 2011.
La parte interessata, nel proprio ricorso tributario, contestava la mancata conoscenza di quest’ultimo atto esattoriale e chiedeva l’annullamento del debito fiscale.
Per dimostrare la notifica della citata cartella esattoriale, notificata nel 2011, l’Agenzia delle Entrate, Ente a cui era stato notificato il ricorso tributario avverso l’intimazione di pagamento, aveva depositato in giudizio delle semplici “distinte postali” al fine di provare la corretta notifica della cartella esattoriale.
La contribuente era stata difesa e rappresentata dall’Avv. Federico Marrucci dello Studio Legale Tributario Arcadia.
Sul punto, i giudici tributari accoglievano il ricorso presentato dalla contribuente, annullando dunque il debito fiscale e la cartella esattoriale, con la seguente motivazione:
“per dimostrare la spedizione e ricezione della raccomandata informativa nei casi di irreperibilità relativa del destinatario non possono essere utilizzati distinte postali o documenti equipollenti , quali archivi, registri dell’amministrazione finanziaria o attestazioni dell’ufficio postale (Cass. n° 29138/18, Cass. n° 6130/20).
L’omissione della notificazione di un atto presupposto rappresenta un vizio della procedura che implica la nullità di tutti gli atti conseguenti e quindi della intimazione impugnata“.
CHE COSA E’ L’INTIMAZIONE DI PAGAMENTO?
L’Agenzia delle Entrate – Riscossione, nel momento in cui deve richiedere il pagamento di una somma dal contribuente, notifica a quest’ultimo soggetto un atto, chiamato “intimazione di pagamento” (art. 50, D.P.R. n° 602/73) nella quale sono indicati i precedenti atti notificati presuntivamente al contribuente (ad esempio cartelle esattoriali).
Dunque, l’Erario può chiedere il pagamento di qualsiasi somma, attraverso l’intimazione di pagamento, laddove abbia notificato, in precedenza, correttamente un atto esattoriale al contribuente.
COSA AVVIENE DOPO LA NOTIFICA DELL’INTIMAZIONE DI PAGAMENTO?
L’intimazione di pagamento anticipa l’inizio dell’azione esecutiva (pignoramento) nei confronti del contribuente/debitore, il quale se non paga, anche in forma rateale, entro 5 giorni dalla ricezione dell’intimazione di pagamento si espone, come detto, all’inizio di un pignoramento, ad esempio sui propri conti correnti (bancari o postali), autovetture di proprietà, immobili etc.
Tuttavia, il contribuente ha sempre diritto di contestare la richiesta fiscale dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ex Equitalia) attraverso l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, ossia notificando il ricorso tributario, con cui lamentare, ad esempio, la mancata notifica degli atti richiamati nell’intimazione di pagamento o l’intervenuta prescrizione della pretesa fiscale.
Tale opposizione processuale deve avvenire entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione di pagamento, per quanto riguarda i crediti di natura tributaria.
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