A risolvere il quesito è il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, con la Sentenza n. 3303/2020 del 15/06/2020 (causa R.G.N. 29821/2016 dott.ssa Crugnola, Presidente).
Il caso
La fattispecie riguarda una fusione per incorporazione disciplinata dagli articoli 2501 e seguenti del Codice Civile. Fusione, questa, non correttamente comunicata ai creditori ai fini dell’opposizione di cui all’art. 2503 c.c.
Tale ultima norma è posta a tutela dei creditori e consente loro di fare opposizione alla fusione entro 60 gg dalla comunicazione, al fine di salvaguardare il loro diritto di credito.
Nel caso di specie, una società “Alfa” era creditrice nei confronti dell’incorporata “Beta” in forza di un regolare contratto di appalto. La società incorporata, tuttavia, omettendo la comunicazione sopra descritta, si era fusa per incorporazione con un’altra società, “Gamma”.
Al momento della fusione Gamma (incorporante) era in stato di palese insolvenza e di scioglimento, per perdita integrale del capitale sociale. Pertanto l’incorporazione della debitrice Beta in una società decotta avrebbe comportato un certo pregiudizio alla creditrice.
A sostegno della propria tesi, la creditrice segnalava il tardivo deposito dei bilanci, nonché la mancata allegazione della situazione patrimoniale al progetto di incorporazione. Inoltre, entrambe le società facenti parte della fusione erano amministrate dalla stessa persona fisica, che avrebbe quindi architettato ad arte l’operazione.
La creditrice Alfa si rivolgeva, quindi, al Tribunale di Milano lamentando che l’operazione straordinaria era stata condotta in frode ai creditori. L’attrice domandava l’accertamento della responsabilità ex art. 2395 degli amministratori dell’incorporata e l’accertamento della responsabilità dei sindaci, per omessa vigilanza, ex art. 2407.
La decisione del Tribunale delle imprese
Il Tribunale di Milano, anzitutto sottolineava la natura aquiliana delle domande formulate dall’attrice, e specificava che le stesse avrebbero dovuto poggiare sugli art. 2395 e 2407 c.c. per quanto riguarda amministratori e sindaci della incorporata, mentre sull’art. 2043 per quanto riguarda l’incorporante.
La natura aquiliana impone che l’attore dimostri, seppure in via presuntiva, tutti gli elementi, anche soggettivi, dell’illecito. Compreso, ovviamente, il nesso tra la condotta commissiva/omissiva ed il danno lamentato.
In particolare l’elemento oggettivo consisterebbe nella pretestuosità della fusione e nella sua idoneità causale a provocare l’insolvenza della incorporata.
L’elemento soggettivo, invece, dovrebbe riguardare il dolo specifico degli amministratori di tutte le società coinvolte, nel voler danneggiare la società creditrice.
Dopo questa premessa, il Tribunale concludeva, tuttavia, per il rigetto della domanda attorea.
Le motivazioni
Il Collegio milanese motiva la propria decisione sulla base di molteplici ragionamenti logico-giuridici. Si citano i più rilevanti ai fini del commento:
- La fusione attuata tra le due società sarebbe lecita ex art. 2501 c.c. L’articolo citato, infatti, la consente anche fra società in stato di scioglimento, purchè non abbiano già iniziato la distribuzione dell’attivo.
- La creditrice non avrebbe presentato opposizione alla fusione nei termini di cui all’art. 2503 c.c. Vero è che questa non è stata comunicata, tuttavia, secondo i Giudici, non sarebbe stata nemmeno nascosta e questo sarebbe sufficiente ai fini dell’opposizione.
- L’incorporata, all’epoca della fusione, aveva comunque un monte debiti che comunque non sarebbe stata in grado di pagare, anche in mancanza di incorporazione.
A parte la prima motivazione, la seconda e la terza non convincono, soprattutto alla luce degli elementi forniti da parte attrice. Se veramente l’art. 2503 c.c. fosse bypassabile in questo modo, ciò porrebbe a carico di qualsivoglia creditore un onere aggiuntivo, ossia quello di vigilare costantemente sul camerale della società debitrice per monitorare eventuali sue variazioni.