I buoni fruttiferi postali cointestati e dotati della clausola “pari facoltà di rimborso” attribuiscono a ciascun cointestatario, in caso di sopravvenuto decesso dell’altro, il diritto ad ottenere la liquidazione dell’intero importo risultante dal titolo. É questo l’importante principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione, Sez. I, Sentenza 13 settembre 2021, n. 24639, che ha risolto un contrasto giurisprudenziale che si era venuto a creare a partire dalla pronuncia n.11137/2020, resa dalla stessa Corte.
Con la sentenza in commento sono stati rigettati tutti i motivi di ricorso formulati da Poste Italiane S.p.A., già condannata in grado di Appello a rimborsare alla cointestataria superstite, l’intero importo di un buono fruttifero con “pari facoltà di rimborso”.
Nel merito, la Cassazione ha ritenuto non applicabili alla fattispecie in esame le disposizioni dettate in materia di libretti di risparmio postali, di cui al Titolo V, del D.P.R. 256/1989. In particolare, a norma dell’art. 203, del citato D.P.R., ai buoni fruttiferi postali si applica quanto previsto in materia di libretti di risparmio, salvo che non sia diversamente stabilito. A riguardo l’art. 187 prevede espressamente che “il rimborso a saldo del credito del libretto (…) cointestato anche con la clausola della pari facoltà a due o più persone, una delle quali sia deceduta, viene eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto“. Con la conseguenza che, in assenza di quietanza congiunta, non è possibile procedere al rimborso del titolo.
La Cassazione, tuttavia, ha escluso l’applicazione del citato art. 187 ai buoni fruttiferi postali, in quanto la riscossione degli stessi è specificamente disciplinata dal successivo art. 208, D.P.R. 256/1989, il quale dispone che questi sono “rimborsabili a vista“. Ad avviso della Corte, pertanto, è chiaro l’intento della norma di voler rafforzare il diritto di credito dell’intestatario del buono che, verrebbe meno, nel caso in cui la liquidazione venisse subordinata alla quietanza degli aventi diritto.
É stata altresì esclusa la violazione dell’art. 48, T.U. in materia di imposte sulle successioni e donazioni, la quale dispone che “alla morte dell’intestatario di somme depositate presto un istituto di credito, debba procedersi al blocco di qualsiasi operazione di pagamento sino a quando non sia esibita la dichiarazione di successione o sia dichiarato per iscritto dall’interessato che tale obbligo non sussiste“. Ed infatti, i buoni fruttiferi postali sono equiparati ai titoli di stato e, come tali, non rientrano nell’attivo ereditario. Pertanto, non vi è alcun obbligo per il contribuente di denunciare i buoni nella dichiarazione di successione, salvo la presentazione della dichiarazione di esonero ex. art. 28, comma VII, T.U. 346/1990.
La Corte ha infine ritenuto infondato il richiamo operato da Poste Italiane alla disciplina dettata in materia di comunione di diritti reali ed in particolare il richiamo all’art. 1120 c.c., il quale richiede il consenso di tutti i partecipanti alla comunione nel caso in cui “la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo“. Ciò sulla base dell’assunto che la contitolarità nei diritti di credito nulla ha a che vedere con la comunione dei diritti reali.
La Suprema Corte ha quindi affermato il seguente principio di diritto:
“In materia di buoni postali fruttiferi cointestati e recanti la clausola “pari facoltà di rimborso”, in caso di morte di uno dei cointestatari, ciascun cointestatario superstite è legittimato ad ottenere il rimborso dell’intera somma portata dal documento“.
Con ciò confermando il consolidato orientamento della stessa Corte, che dà peso predominante ai dati risultanti sul testo dei buoni postali.